martedì 4 giugno 2013

Capitolo terzo: La foca Lilly nel petrolio.


Furono i primi ad arrivare e, vi assicuro, Ciccio non avrebbe mai dimenticato quella scena straziante: la foca Lilly, giovane e bellissima...



...se ne stava immobile in una chiazza nera, gli occhi belli erano diventati dei fiori secchi, i movimenti eleganti strozzati in una trappola di veleno.


Zio Capo perse i lumi della ragione, Lilly (…acqua in becco, la sua Lilly) stava soffocando per il petrolio che l’aveva investita in mare. Chi mai le aveva fatto una cosa del genere?

 “Forza giovane, urla, urla a per di fiato!” lo incitò zio Capo.
“Ma…non è meglio se la curiamo?” chiese Ciccio perplesso.
“Urla! Urla!Pensi che da soli potremmo salvare il mondo? Urla ragazzo! Urla!“
Fecero un gran baccano, così grande che in pochi minuti accorse l’ambulanza con i pesci pulitori, i medici degli abissi, una pattuglia di squali poliziotto, le meduse liberatrici.



Quella volta ce la fecero, ma che cosa sarebbe successo se zio Capo non avesse udito quel pianto di dolore? Ve lo dico io, Lilly sarebbe morta.
Ciccio rimase seduto sull’ambulanza degli abissi, una conchiglia gigante guidata da una grossa stella marina, mentre zio Capo accarezzava i lunghi baffi di Lilly, in disparte, come per scusarsi.

Con la complicità di un mare chiacchierone, Ciccio captò qualche frase:


“Mia dolce Lilly…” diceva lo zio “…potrai mai perdonarmi? Ci stanno distruggendo, ma ho adottato un pinguino che porterà questa notizia per il mondo”


Lilly, poco prima di salire sull'ambulanza degli abissi, strofinò il collo sul testone di zio Capo, con gli occhi ancora irritati dal petrolio cinguettò:
“Come potrei odiare te per quello che è successo? Tu mi hai dato le acque più profonde e blu che potessi desiderare, le correnti più ballerine, le onde più giocose. Mai potrei odiare te, che sei il…”


Perbecco, Ciccio non sentì bene l’ultima parola perché Polly, una polipa gigante un po’ in sovrappeso, gli avvolse un tentacolo intorno alla testa e lo ammonì:



“Ehi, tu, fiolo, non ci si impiccia nelle 'ose dei grandi!”



“Zio, che cosa era quella macchia nera?” chiese più tardi Ciccio a zio Capodoglio.
“Si chiama petrolio”
“E a cosa serve?”
“Si usa per produrre energia, per far muovere macchine, per accendere le luci...ma è un veleno per il pianeta. Figuriamoci per il mare, che è tanto delicato...Che mi stavi raccontando prima?”
“Si, la maestra del nido dei pinguini, quella bianca, ma così bianca che la chiamano albilina..”
“Albilina? “chiese lo zio “ Semmai Albina, asino di un pinguino!”
  Zio capo rise ancora, rise forte, ma..ahimè...da quel giorno continuò ad avere un male in mezzo al petto, faceva fatica a respirare, piangeva per la foca Lilly…forse piangeva anche per sé.

Si rimesero in viaggio, incontrarono alghe dai nomi strani, foche, orche, balenottere, delfini, cormorani, albatros che si immergevano in superficie, rocce colorate e rocce ammuffite, poverine, chissà che malattia avevano...


Ciccio si affezionò subito alla tribù degli abissi, gente eccentrica, vivace, nuotatori per natura.
  Proprio loro che volavano nelle acque divennero i migliori amici di un pinguino che non sapeva nuotare.

 Volete sapere come imparò?
Un giorno, nei fondali, Ciccio partecipò alla festa delle conchiglie. Polipetti e stelle marine, pesci grandi e pesci piccoli  lo accerchiarono, si misero a cantare, a battere le pinne, a danzare abbracciati.
Ciccio stava al centro sostenuto da zio Capo, neanche se ne accorse, così preso da quella festa, che si staccò dallo zio, passò dalle pinne di uno a quelle di un altro, all’inizio nuotò come un cavalluccio marino, sembrava stesse in piedi tanto era impacciato, poi si adagiò a pancia in su come la stella marina, fino a saltare come un delfino.

Fu solo allora che si accorse che zio Capo era sparito, via, andato.

E solo allora si accorse che la voce che lo aveva iniziato al viaggio era quella di zio Capo.

Avete capito bene, si: zio Capo era il mare stesso.